Perché dragons and cupcakes, alla fermata della metropolitana

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Elos
view post Posted on 22/10/2013, 13:40




La metropolitana di Roma è una cosa strana. Altre città nel mondo hanno linee metropolitane fatte come ragnatele, tutti percorsi che si intersecano gli uni con gli altri e che certe volte non basta una mappa a sbrogliare; le metropolitane di Roma, invece, sono come due grosse vene, due arterie, che si toccano solo all'altezza della Stazione Termini e che, per il resto, procedono ciascuna per la sua strada.
In metropolitana - come sugli autobus - puoi trovare di tutto. Sono mondi a parte, su ellittiche parallele a quella del pianeta Terra.

Le metropolitane sono come draghi. Ruggiscono su rotaie vecchie in cunicoli bui mentre volano da un posto all'altro. Ti mangiano, le metropolitane. Se sei fortunato, certe volte ti risputano fuori.
A Roma gira voce che vi sia una comitiva di turisti giapponesi che non ha ancora capito che la Fermata Metro San Pietro non esiste, e sta ancora aspettando di arrivarci. Aspetta, in effetti, da circa dieci anni: ogni tanto corrono fuori, quando la metro si ferma, e fanno rifornimento ai distributori di merendine.

Alla fermata Cipro della Metro A c'è un piccolo bar con qualche tavolino di metallo lasciato fuori al vento e alle intemperie e piazzato praticamente in mezzo alla strada. D'inverno ci nevica sopra. D'estate, le sedie lasciate al sole raggiungono una temperatura media di ottomila gradi centigradi. Ci si fonde il bronzo, su quei tavolini.
Quel piccolo bar con i suoi improbabili tavolini all'aperto ha anche una tra le vetrine più appetitose che si siano mai viste; e fortuna vuole che sia proprio piazzato di fronte alla fermata della Metro, dall'altra parte di Via Cipro, e che sia precisamente sulla via del ritorno dall'università di Flavia e Marta.

Flavia e Marta non sempre seguono gli stessi corsi; Flavia e Marta, in effetti, non seguono più un corso in comune da anni: ma c'era un periodo in cui avevano la stessa lezione alla stessa ora con lo stesso professore, il pomeriggio sul tardi di due giorni a settimana. Era inverno - il periodo in cui certe volte nevicava sui tavolini, molto più stesso diluviava,nelle giornate di sfiga suprema grandinava - e faceva uno stramaledettissimo freddo.
Niente quanto un cappuccino scalda quando fa freddo e, diamine, una volta che hai preso un cappuccino puoi non prenderti un dolcetto? Uno, uno solo, quello lì, quello che ti sta dicendo che è un ottimo dolcetto al grasso e burro di lardo, mangiami, mangiami, c'è della cioccolata qui dentro.

Perciò, draghi e pasticcini. In inglese le chiamano cupcakes: sono quelle cosine lì, graziose e appetitosissime, che vanno giù che è un piacere e si smaltiscono solo tramite l'applicazione mirata di acido muriatico sui rotolini della pancia.
Draghi e pasticcini, tutti i pasticcini che abbiamo mangiato raccontandoci storie che sono ancora lì, in attesa di essere scritte, tutte le volte che abbiamo preso la metropolitana, più drago che treno, gesticolando e spiegando e, in una memorabile occasione, terrorizzando a morte una vecchietta con la descrizione dettagliata di un duello all'ultimo sangue. Estremamente dettagliata.

Dragons and cupcakes. Sono passati cinque anni, e non abbiamo ancora smesso di raccontare.
 
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